Senza categoria

IMMAGINI E RIFLESSIONI SULLO PSICODRAMMA (tra Dicembre e Gennaio 2023-24)

Alessandra Corridore

“Il simbolo spinge le sue radici fin nelle più segrete profondità dell’anima…

Solo il simbolo riesce a combinare gli elementi più diversi in un’impressione unitaria” (Bachofen)

“Tutto il lavoro umano trae origine dalla fantasia creativa, dall’immaginazione…
L’attività creatrice dell’immaginazione strappa l’uomo ai vincoli che lo imprigionano…
elevandolo allo stato di colui che gioca.
E l’uomo, come dice Shiller, ‘è totalmente uomo solo là dove gioca’” (Jung).

Il Sol Niger è “come un’eclissi solare … Il termine alchemico per questo è nigredo. Il sole è coperto dall’ombra della morte”. Ma è anche “la fase … che indica l’inizio di una trasformazione significativa. Ci viene chiesto di camminare attraverso la valle dell’ombra della morte. (…) In genere fare il primo passo significa entrare completamente in uno stato di ‘confusione’, con l’intenzione di porsi la domanda ‘dove sono?’.  L’individuo si ritrova in qualcosa di simile a un bosco scuro come Dante all’inizio del suo viaggio nell’Inferno. Si cerca una via di ritorno o una via d’uscita, qualcosa di stabile, qualcosa su cui poter contare che dia luce, speranza e senso dell’orientamento. C’è ansia in questo luogo oscuro, a volte al limite del panico, e spesso c’è un senso di catastrofe imminente se non si trova la via …, e rapidamente” (Stein M., 2020).

La catastrofe, la morte, simbolicamente accompagnano, in un movimento ciclico, le varie fasi della vita in cui facciamo i conti con ciò che si era, per far spazio a nuove possibilità, ignote. Cosa ci sarà per me quando finisce un amore, quando il sogno indifferenziato di unità familiare vacilla di fronte a verità fino ad allora sconosciute, quando il corpo ci ricorda che il tempo passa inesorabilmente e ci costringe a fare i conti con noi stessi e con la nostra storia?

È allora che si costella il Sole nero, la discesa negl’Inferi, laddove vivono gli opposti, ma anche le energie necessarie alla risalita. È un viaggio notturno che può rappresentare anche un’opportunità di salvezza, per poter elaborare un nuovo modo di essere, attraverso la sofferenza.

L’errore in un atto notarile non può essere cancellato, ma va siglato, in modo da vedere ciò che c’era scritto prima, per poter ricostruire la sua storia. Ma se non si volesse vedere ciò che era scritto prima, perché foriero di tanta sofferenza, paura, rabbia, timore che un equilibrio, seppur ormai precario, si rompa irrimediabilmente? Se si desiderasse cancellare una storia, una vita perché la si ritiene “sbagliata”?

Tutto deve rimanere visibile, ma Io non voglio essere visibile, perché tutti indicano l’errore. Io sono l’errore, che mi ha sempre fatto sentire “solo” e “diverso”, ma che mi ha dato un’identità nella quale mi sono identificato. Come posso perdere il mio punto di riferimento?

Scrive Jung: «Quando avviene una trasformazione, la forma precedente non perde assolutamente nulla della sua forza d’attrazione: chi si separa dalla madre brama di ritornare da lei. Questo desiderio può invertirsi in passione divorante che mette in pericolo il frutto delle acquisizioni precedenti. In questo caso la ‘madre’ da un lato appare come la mèta più alta, dall’altro come minaccia gravida quanto mai di pericoli, come ‘Madre terrificante’» (Jung C.G., 1912/52). Uscire dal ventre della Grande Madre simbolicamente è difficile, comporta la ridiscesa nell’Utero, nel Mondo Infero direbbe Hillman, nelle profondità dell’inconscio per recuperare energie nuove, trasformative, per rinascere. E la paura di essere soli nel compiere tale missione è grande.

Ma “Io ho la macchia o io sono la macchia?”.

          Jung definisce l’Ombra il lato oscuro della personalità, nel quale vivono quelle parti della psiche umana che si ha difficoltà ad ascoltare ed accettare perché fanno paura, che spesso richiamano contenuti intollerabili, nuclei complessuali traumatici. Confrontarsi con l’ombra rischia di generare terremoti, di aprire emotività intollerabili: la rabbia del figlio nel confrontarsi con i suoi fantasmi e il timore del padre di non essere più amato. Ma anche la paura dell’abbandono, di rimanere soli con le ombre del passato fino ad allora proiettate nel sogno riparatore di unità di coppia o familiare.

Tuttavia l’ombra, se non l’ignoriamo, rischia anche di farci esistere… L’amico senza ombra, citando Amleto, diceva: Essere o non essere?.

Dal punto di vista simbolico l’ombra non è un “errore” e la metafora dell’atto notarile può aiutarci a contemplare la coesistenza di due possibilità. Il sintomo, il segno possono diventare simbolo creativo, che non spiega ma rinnova. Per Jung il simbolo è un far coincidere in un’unica voce due dissonanze.

Egli scrive: “Un simbolo non abbraccia e non spiega, ma accenna, al di là di sé stesso, a un significato ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro linguaggio non potrebbero adeguatamente esprimere. Uno spirito che si lascia tradurre in un concetto è un complesso psichico compreso entro i limiti della coscienza del nostro Io. Non produrrà e non farà niente di più di quanto noi vi abbiamo riposto. Ma uno spirito che esige un simbolo per essere espresso è un complesso psichico che contiene germi di possibilità ancora incalcolabili” (Jung C.G., 1916).

Cerchi e pallini, su un quadernino da bambini, che possono avere anche delle punte…

Ma i bambini questo lo sanno e riescono a mettere insieme vita e morte, vero e falso, forma morbida e appuntita, realtà concreta e simbolica. Tutto in un “vaso”, che per amplificazione riporta al vaso alchemico, in cui avveniva il processo di trasformazione nella concretezza del gesto in risonanza con le dinamiche della psiche. Proprio come avviene nello psicodramma in cui il teatro psichico dei partecipanti vive anche concretamente nel gioco psicodrammatico.

Laddove originariamente è mancata quella funzione di contenimento delle emozioni che i genitori dovrebbero incarnare nei primi anni di vita e poi trasmettere ai figli, spesso si cerca invano nella concretezza qualcuno che possa contenerci, oppure si può approdare ad un luogo dove elaborare le proprie sofferenze. L’immagine del vaso, infatti, rimanda anche all’utero della Grande Madre nel quale nascere di nuovo simbolicamente.

Jung utilizza la metafora del racconto biblico relativo a Giona e la balena per rappresentare i processi interiori di cambiamento che necessariamente sono legati alla morte della condizione precedente ed alla rinascita. Giona, infatti, è chiamato da Dio a predicare la Sua parola nella città di Nìnive, dove regnano il peccato e la dissoluzione; fugge dal proprio compito finché in mare viene ingoiato da una balena, nel ventre della quale rimane per tre giorni, per poi rinascere e realizzare il suo destino. Gli alchimisti chiamano questo processo “Regressus ad uterum”, tappa necessaria per ogni rinascita trasformativa.

Ed il setting dello psicodramma può rappresentare quel vaso contenitore in cui è possibile poggiare tanta sofferenza, senza rischiare ancora una volta di affidare tutto il nostro “tutto” (rimanendo vuoti) ad un altro concreto, immaginando che possa contenerlo ed amarlo. Ed è il luogo simbolico e trasformativo in cui il mio tutto/vuoto fa risuonare le emozioni dell’altro.

“Strana immagine è la tua – disse – e strani sono quei prigionieri”
“Somigliano a noi – risposi” (Platone, Repubblica).

Bibliografia:

– Jung C.G., 1912/52, Simboli della trasformazione, Opere,vol. 5, Boringhieri, Torino, 1970.

– Jung C.G., 1916, Spirito e vita, Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino, 1976.

– Stein M., 2020, https://www.jungitalia.it/2020/04/11/psicologia-covid-19-coronavirus-umbra-mundi-murray-stein-intervista/

Si può consultare anche il seguente link: https://www.nuovipercorsi.it/tracce-per-lincontro-del-20-01-2024/

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *