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Immagini dell’Animus nello psicodramma

…si aprì la terra dalle ampie strade nella pianura di Nisa, e ne sorse il dio che molti uomini accoglie,il figlio di Crono, che ha molti nomi, con le cavalle immortali. E afferrata la dea, sul suo carro d’oro, riluttante,in lacrime, la trascinava via; ed ella gettava alte grida….. Fin quando la dea scorgeva la terra e il cielo stellato, il mare percorso da vaste correnti,e i raggi del sole, e ancora si attendeva di rivedere la cara madre… sebbene ella fosse angosciata, la speranza le confortava il nobile cuore… Inno Omerico a Demetra

            Nella mia esperienza di animazione di psicodramma mi è capitato spesso di trovarmi a lavorare con gruppi costituiti soprattutto da giovani donne dai diciannove ai ventotto anni. Più volte nei gruppi agli inizi ho riscontrato l’emergere dell’immagine dell’animus. Dopo le prime sedute iniziali, più legate ai problemi della quotidianità, dell’io diurno, della realtà concreta, la psiche di queste giovani donne si apre all’esperienza dell’animus che, pur richiamando archetipi comuni, si differenzia nelle singole immagini individuali.

Per Hillman l’animus è lo spirito, il logos, la parola, l’idea, l’intelletto, i principi, l’astrazione, il significato, la ratio, il nous. Emma Jung lo definisce come forza direzionata, volontà al primo stadio, al quale fanno seguito gli stadi dell’azione, della parola ed infine del pensiero. Dice che può essere incontrato nel padre, o in una figura maschile che ne fa le veci, nello straniero, poiché lo spirito appare come qualcosa di estraneo e sconosciuto all’anima che ancora ci si deve confrontare, all’anima bambina.

L’immagine dello sconosciuto, che spesso si presenta con un aspetto in qualche modo familiare, rappresenta il messaggero recante una missiva o un ordine da parte del lontano signore della luce. Col passare del tempo, scrive Emma Jung, queste figure diventano familiari e cominciano ad acquisire una forma conosciuta, ad avere un nome. Da tempi immemorabili al nome è attribuito un potere magico. Jung narra di quando Iside obbligò Ra a comunicarle il suo vero nome privandolo così della sua potenza. Questo perché è difficile entrare in contatto con una presenza indistinta, non identificata. Se essa assume un nome perde parte del suo carattere numinoso ed inquietante ed è possibile il confronto.

Nelle prossime pagine riporterò dei sogni di giovani donne in cui compaiono alcune immagini dell’animus. Per prima si presenta l’immagine paterna (Viviana e Maria) seguita da immagini di animus sconosciute come l’uomo senza consistenza fisica(Laura), il violentatore ed il serpente (Sara), finché queste immagini non cominceranno ad avere un nome comparendo nelle vesti del fidanzato (Sara) e del professore (Delia).

Nella seduta di psicodramma prende la parola per prima Viviana. Racconta un sogno in cui stava pulendo il pavimento di casa, un pavimento troppo impressionabile dalle orme, quando entra il padre accompagnato da un suo amico, un allevatore, ritenuto dalla sognatrice un tipo sporco. Sporcano il pavimento appena pulito per cui l’io, l’immagine della sognatrice nel sogno, inizia a piangere e si sveglia.

Nel sogno di Viviana l’animus è rappresentato dall’immagine paterna e da quella dell’amico, che fa tutt’uno con il padre. L’immagine del pavimento può essere amplificata con l’archetipo della terra, della femminilità, la quale, come nel mito di Kore, rischia di essere violata, sporcata, derubata dal maschile. L’io non riesce a sostenere l’emozione provocata da questa situazione e si sveglia.

Già Freud diceva che si desidera ciò che più si teme, e lo stesso Jung ci ricorda che nella psiche gli opposti si contengono l’un l’altro. L’immagine del sogno può essere compresa, anche alla luce dei racconti successivi del gruppo, come una paura-desiderio di Viviana. Secondo Jung l’immagine dell’incesto non va intesa in senso concretistico, ma come una congiunzione di immagini poiché esso, in quanto unione dei parenti di sangue più stretti, rappresenta una prerogativa regale, basti pensare ad esempio ai matrimoni incestuosi dei faraoni. Non è casuale che i primi dèi generano quasi sempre mediante incesto poiché esso rappresenta l’unione dell’essere con se stesso, l’individuazione o il divenire del Sé, è lo stadio dell’unione del simile col simile, il quale segue immediatamente all’idea primordiale dell’autofecondazione. La paura per questo tipo di unione, che fin da tempi remoti, se non da sempre, è considerata illegittima, già è stata messa in rilievo da Freud. Ma, continua Jung, l’elemento incestuoso svolge una importante funzione poiché rappresenta la tensione verso l’unione degli opposti, verso la realizzazione dell’ermafrodito attraverso immagini come il padre nella donna giovane, il figlio nella donna matura, la madre nell’uomo giovane, la figlia nell’uomo maturo. Per l’alchimia l’incesto è lo hieros gamos degli dèi, la mistica prerogativa dei sovrani, un rito sacerdotale. I personaggi che inscenano il dramma, l’uomo e la donna, nell’alchimia sono Re e Regina, Sol e Luna, e la morte è il prezzo del peccato.

            Nel nostro caso per l’io di Viviana si tratta della paura della morte della fanciullezza, della purezza di bambina, e dell’iniziazione all’età adulta. Neumann scrive che lo sviluppo della coscienza femminile passa attraverso l’esperienza di un Tu maschile che può essere rappresentato da un padre, un uomo, una guida con funzione liberatrice. Il maschile per la donna incarna la sua liberazione verso la coscienza. Se questa liberazione viene rifiutata ci si irrigidisce in uno stato infantile che è un tentare di fermare il tempo fissandosi in un tempo virginale, inseguendo uno sconvolgente senso di morte. La morte in questo caso non va intesa come passaggio da una condizione ad un’altra, ma come annullamento di se stessi, come staticità rispetto alla dinamicità della vita. Ed allora si può anche capire il sintomo della ragazza che, vomitando ciò che prima aveva mangiato, rifiuta il cibo che è linfa di vita. Mettersi in gioco da persone adulte vuol dire esporsi al rischio di una vita autonoma, dello sporcarsi di essa. Vuol dire mangiare il frutto della vita, il melograno che Ade offrì a Persefone negl’Inferi, che segna un nuovo stadio dal quale non si può più tornare indietro. L’archetipo della vergine invece fa correre il rischio di sottrarsi all’esperienza ed alla vita, di rinchiudersi in una eterna giovinezza con il conseguente rifiuto della femminilità adulta e feconda. La vergine sacrifica la crescita e la maturità sull’altare dell’eterna giovinezza.

            Rifiutando la crescita si rimane ancorati, direbbe Neumann, al regno della Grande Madre, come emerge dalla situazione di Laura che, nella stessa seduta, racconta un sogno nel quale è presente un’altra immagine tipica, quella dell’uomo senza consistenza fisica, e quindi di un maschile non identificabile, senza volto e senza nome.

Nel sogno Laura dice di affrettarsi a salire una scalinata sulla quale le appare una figura: un uomo, che però non ha consistenza fisica, perché l’io della sognatrice gli lancia degli oggetti che lo attraversano. Ha molta paura e pensa che dovrebbe fare un esorcismo (perché forse è uno spirito…) … L’unica cosa da fare è chiamare sua madre. Lei arriva e nel momento in cui si danno la mano l’uomo scompare. L’uomo sulle scale è, per Laura, cattivo, un demone, uno spirito.

La parola demone, che deriva dal greco, nella cultura cristiana ha assunto un’accezione negativa diventando demònio, il diavolo. Il diavolo, in psicologia, è anche il simbolo dell’ombra archetipica, di quella parte oscura della psiche che l’io non vuole vedere, con la quale non si vuole confrontare. Nel nostro caso l’ombra, l’immagine psichica che emerge dalle oscurità interiori del mondo infero, è l’animus, che rappresenta la guida verso l’individuazione.Jung scrive che l’ombra appare all’inizio della via che conduce all’individuazione ed afferma che spesso è rappresentata da una figura di sesso opposto.

L’immagine-ombra del sogno è uno sconosciuto, come lo fu a lungo Eros per Psiche nella favola di Apuleio, finché Psiche non decise di vederlo, di accendere il lume della coscienza su di lui per amarlo di un amore che non è più soltanto un’aura di piacere, ma che è dato da un rapporto di autentica conoscenza. Per realizzare lo scopo dovette affrontare le pene impostele dalla madre di lui, Afrodite, che rappresenta l’aspetto distruttore e divoratore della Grande Madre. Nel sogno compare l’immagine della madre alla quale l’io chiede sostegno, nelle braccia della quale torna ad essere accolto. Siamo ancora, direbbe Neumann, nella sfera del predominio del materno che impedisce l’incontro individuale e completo tra uomo e donna, nella quale l’esperienza che il femminile può fare del maschile si limita alle sensazioni e alle immagini di qualcosa di sopraffacente, nemico negativo e derubante.

Con l’irruzione dell’archetipo dell’animus all’immagine del femminile accade qualcosa di completamente nuovo poiché essa viene afferrata da qualcosa di ignoto e soggiogante, vissuto come numinoso e senza forma, portatore di un destino di morte.Psiche, nella favola di Apuleio, deve celebrare le nozze ferali, che richiamano il tema dell’antica epoca mitologica in cui la sposa era votata alla morte. È un antico motivo primordiale che, secondo Neumann, potrebbe essere chiamato La Morte e la Fanciulla e che rappresenta una tappa fondamentale, un archetipo del femminile-matriarcale. Apuleio narra che la fanciulla veniva esposta in solitudine mortale sull’alta cima di un monte in attesa dell’uomo-mostro al quale veniva consegnata. Indossava il velo della sposa, il velo del mistero nelle sue nozze di morte, che aprono le porte ad una nuova vita. Al femminile, e solo ad esso, è dato di vivere insieme le tre fasi della verginità, della compiuta femminilità, della maternità nascente, eventi che dalla coscienza maschile sono sempre stati intesi come un qualcosa di numinoso, da affrontare in maniera rituale.

Va ricordato che i primitivi, nel momento del menarca, praticavano sulla donna dei riti caratterizzati proprio da esorcismi per affrontare l’infezione, o la possessione da parte di uno spirito maligno, della quale essa era soggetta. L’io di Laura nel sogno con i suoi esorcismi, quindi, cerca di difendersi e di difendere la sua purezza. Qualche seduta più avanti proprio Laura racconterà un sogno in cui si trova ad accarezzare le pratoline in un campo, cosa che lei sente come un gesto rituale. Probabilmente l’io della sognatrice si troverà ad accarezzare la sua condizione di purezza infantile prima che scenda il velo della morte e delle nozze ferali. Non è casuale che Kore stesse raccogliendo dei fiori prima di essere rac-colta lei stessa da Ade. E non è casuale che il simbolo centrale della verginità sia il fiore che nella sua naturale bellezza incanta l’uomo, e che il momento del primo incontro sessuale è definito proprio con il termine deflorazione.

Dal punto di vista del mondo matriarcale ogni matrimonio rappresenta un rapimento di Kore, il fiore virginale, da parte di Ade, il violento aspetto ctonio dell’ostilità maschile. Ma Ade è anche il re degli Inferi che rapisce Kore per farne la sua sposa. È evidente il passaggio dalla condizione di figlia a quella di sposa e Regina degl’Inferi accanto al suo sposo e Re Ade. Questo passaggio è tracciato anche dalla trasformazione del nome di Kore, che vuol dire la fanciulla, in quello di Persefone, che sin dall’età pre-greca probabilmente indicava la Regina degl’Inferi. Ade è lo straniero, completamente estraneo al rapporto simbiotico madre-figlia, Demetra-Kore, che, in modo violento vuole rompere questo intimo legame. È un maschile negativo, dannoso se lo si legge con gli occhi della madre la quale si vede portar via l’amata figlia. Ma come il fiore si trasforma in frutto, così il destino di una figlia è quello di crescere, di farsi sposa e a sua volta madre. Per fare ciò il femminile-figlia ha bisogno del maschile-rapitore, per realizzare la coniunctiooppositorum di animus e anima.

            Il mito può amplificare i sogni e le fantasie emersi dalla dinamica di gruppo anche se in essi Ade ancora non riesce a rapire la sua Kore (l’io del sogno) la quale si difende e difende la sua paura del cambiamento.

La meta è solo annunciata anche dal racconto di Sara, che interviene nella stessa seduta narrando la scena, vista in televisione, di una tentata violenza carnale.

Compare un’immagine dell’animus violentatore. Dalla drammatizzazione della scena emerge  che si tratta di un’immagine molto forte nella psiche della ragazza poiché Sara interpreta in maniera molto aggressiva il violentatore. Anche realizzando il suo ruolo Sara si dimostra molto aggressiva nei confronti del violentatore. Anche lì è animata dall’aggressività di un maschile che, proprio per il rifiuto e l’ostilità dell’io nei suoi confronti, per la mancanza di un rapporto con esso, è rimasto in uno stadio selvaggio e primitivo bloccando il processo di individuazione.

Emma Jung si è occupata di situazioni nelle quali il principio del maschile, non essendo riuscito ad integrarsi in modo equilibrato con quello del femminile, lo soffoca e lo reprime. Fa riferimento in modo particolare alle donne superenergiche, spietate, brutali, alle Santippi, come le definisce, non solo iperattive e dinamiche, ma addirittura aggressive. Il rischio è quello che l’immagine del maschile prenda il sopravvento fino a dominare la personalità. La soluzione sta, scrive l’autrice, nella differenziazione tra sé e tali immagini, tra l’io femminile e l’animus maschile, evitando l’identificazione con esso. Un famoso detto alchemico recita così: divide et coagula. L’io, differenziandosi da un’immagine, cessa di percepirla come un pericolo. Può nascere, così, il confronto ed una nuova armonia, una nuova forza creativa. È la psicologia dell’incontro di cui parla Neumann, che può essere intesa non solo come incontro uomo-donna, ma anche come congiunzione di immagini maschile-femminile.

Emma Jung scrive che è possibile diventare veramente donne e realizzare il proprio destino umano solo quando la parte maschile viene integrata alla totalità della psiche e vi esercita le proprie funzioni. Dalle immagini di Sara, invece, emerge una situazione di stasi nella quale l’io non si è differenziato dall’animus ma anzi si è identificato con un aspetto aggressivo di esso, sacrificando il suo femminile ed escludendo ogni possibilità di crescita della personalità.

Una situazione simile si verifica in Maria che, quasi due mesi più tardi, racconta un sogno in cui compare la sua figlioccia col viso coperto, piena di botte ricevute dal padre.

Maria dice di essere stata realmente picchiata dal padre l’estate scorsa. Si è giocata la scena in cui suo padre le ha dato degli schiaffi. Il gioco psicodrammatico ha evidenziato anche qui il comportamento aggressivo di Maria nella parte del maschile che vuole fare violenza, in questo caso il padre. Ciò dimostra che l’immagine del padre aggressivo è ben presente nella psiche di Maria. Al gioco segue il momento in cui vengono espresse le sensazioni da parte dei partecipanti. Emerge da parte di Maria un odio nei confronti di tutti i maschi verso i quali dice di comportarsi in maniera aggressiva.

Sembra che in Maria si sia attivata un’immagine maschile aggressiva che rispecchia il comportamento del padre, con il quale è riuscita molto bene ad identificarsi nel gioco, ma anche nella realtà concreta tramite la sua aggressività verso il sesso maschile. Dalla storia di Maria, come anche da quella di Sara, emerge l’immagine di quello che Neumann definisce il Maschile Terribile. Esso il più delle volte si manifesta come un’aggressività fallica istintiva e incontrollabile, o come un mostro distruttivo che, oltre ad agire come un principio disgregatore della coscienza, la fissa in una direzione sbagliata. Impedisce l’ulteriore sviluppo della coscienza egoica mantenendo saldamente in vita l’antico sistema di coscienza. È il Padre Terribile che, come la Madre Terribile, è antico e cattivo e va superato.

Il padre nell’immaginario incarna la legge ed i canoni culturali del collettivo. È colui che impartisce l’educazione che si manifesta come legge morale. Sappiamo dal racconto della sua storia che Maria è molto legata ai valori religiosi e morali impartitile dal padre, dai quali si sente oppressa, imprigionata, e che hanno oppresso ed imprigionato la sua femminilità. È posseduta, inflazionata da un maschile spirituale che ha completamente annullato il femminile terreno. Ciò è evidente nel sogno, in cui compare un femminile torturato dal maschile paterno, con il viso coperto, nascosto, perché non ha nessuna voce in capitolo nella dinamica psichica di Maria. Maria infatti non ha un buon rapporto con il suo corpo e con la sessualità che rifiuta rifugiandosi nei picchi dello spirito e della cultura.

Dedicandosi agli aspetti prettamente spirituali della vita ha rinunciato a mettersi in gioco come femminile, come natura, come anima, e rischia così di soccombere. Lo spirito, infatti, rappresenta la luce e la chiarezza, ma se si osa andare troppo in alto verso le immensità celesti si rischia di fare come Bellerofonte, il Figlio dei Cieli, il Puer. Come Bellerofonte quando cavalca Pegaso, il cavallo alato, lo spirito vaga libero per i cieli e si apre la strada fra le delusioni; ma quando cade sulla terra, come Bellerofonte, si trascina zoppicando per Aleia, la pianura dell’errante. Diventano importanti, allora, le scarpe! E con le suole spesse. Un’altra metafora dello spirito inflazionante può essere letta nel mito di Icaro che con le ali di cera costruitegli dal padre si avvicina troppo al sole che le scioglie, facendolo precipitare negli abissi marini.

Dai sogni di Sara, che già aveva raccontato la scena della violenza vista in televisione, e di Delia emergono immagini del maschile dotate di potere numinoso come quella del serpente, della quale l’io della sognatrice ha paura, o di uomini che incarnano ideali di saggezza e di cultura come quella del professore. Compare poi l’immagine di un fidanzato. Si comincia a dare volto e nome alle immagini dell’animus.

Sara sogna di trovarsi in Africa con il suo fidanzato che con un tono molto duro le avvicina un serpente e le dice che è buono da mangiare. L’io nel sogno si spaventa a tal punto che Sara si sveglia di scatto.

Neumann, in Storia delle origini della coscienza, si occupa dell’immagine maschile numinosa che chiama padre transpersonale. La distingue dal padre personale, come quello già descritto di Maria,che rappresenta i vecchi valori della cultura e della morale tradizionali. L’eroe, l’individuo creativo, entra in contrasto con questa figura, vuole infrangere l’antica legge dei padri per seguire un Padre Divino, il padre archetipico che desidera la trasformazione del mondo. È quel dio che nella storia delle religioni trova un suo corrispondente in Yahweh, la voce interna che disse ad Abramo di andarsene dalla sua terra e dalla casa di suo padre, verso una nuova terra, da intendere come un’esortazione a distruggere gli dèi di suo padre. L’Abramo dei nostri sogni, l’incarnazione dell’eroe, è l’io che si trova al cospetto della divinità della trasformazione che condurrà verso una nuova vita, non più quella dei padri. L’animus divino fa paura, poiché vuole condurre l’io verso una trasformazione alla quale non è ancora pronto, o non ancora completamente.

            Nella tradizione ebraica il serpente ed Eva, il femminile terreno, carnale, sono in continua relazione. Fu il serpente, infatti, a portare ad Adamo ed Eva il cambiamento nel luogo senza tempo quale era il paradiso terrestre, fu lui il maschile transpersonale, come lo chiama Neumann, che diede origine alla storia, ponendosi in contrasto con la morale tradizionale di un dio tradizionale. Si narra che Caino fosse il frutto dell’unione di Eva e di Satana che si accostò a lei sotto le spoglie del serpente. È nota, nella cultura ebraica, l’immagine che i serpenti desiderino ancora accoppiarsi con le donne perché il primo serpente provò una violenta passione per Eva.

La mitologia greca narra che Zeus, sotto le sembianze di un serpente, si sia congiunto con Demetra prima e con il frutto della loro unione, Persefone, poi. Con la madre, dunque, e con la figlia destinata a diventare a sua volta madre. Da questa seconda unione sarebbe nato Dioniso.

Secondo Plutarco Olimpia, nel concepire Alessandro Magno, si accoppiò con un serpente, oppure con un sacerdote, che sotto quelle spoglie si recava da lei ogni notte. Da questa unione nacque l’eroe al quale era predestinato il possesso del mondo intero. Ancora una volta l’immagine del serpente esprime la sua forza fecondante e generatrice, ma anche mortifera. Segna infatti la morte di un mondo dell’innocenza, della purezza, della staticità che, se si supera un certo limite, non può più tornare. Jung scrive che il serpente è il coltello che uccide ma allo stesso tempo il fallo, il simbolo della forza rigeneratrice del granello di frumento che, sepolto nella terra come un cadavere, è nel contempo una semente che feconda la terra.

            Con Sara non ci sarà fecondazione finché l’io continuerà a sentirsi violentato e ad aver paura delle immagini psichiche dell’animus come di quel qualcosa di potentemente penetrante, così lo definisce Neumann, che non viene riferito e proiettato in un uomo concreto, ma che è sperimentato come numen. Nella mitologia il serpente è rappresentato come colui che ha rapporti con la vergine matriarcale, che violenta il femminile o che penetra nella donna come fallo numinoso, sia esso serpente, uccello, toro, capro, cavallo. Questa esperienza riempie il femminile di angoscia mortale e ne sono il simbolo le nozze con la morte in cui il maschile può assumere forma di masnadiero, violentatore, addirittura Ade, divinità della morte, che rapisce il femminile, Kore, e lo porta nel suo regno. A questo maschile iperdimensionato e schiacciante corrisponde un sentimento di inferiorità del femminile che sente evidentemente con angoscia la propria incapacità ad accogliere in sé la totalità del fallo divino.

Con Delia, invece, il contatto con il divino si realizza attraverso l’immagine spirituale del professore. La ragazza sogna di essere in un corridoio dell’Università, appoggiata contro un muro color bianco, di stringere a sé il professor L. e di avere con lui un rapporto sessuale, cosa che non le dà un gran piacere ma comunque una sensazione di benessere.

            Si realizza la coniunctio, e con un’immagine che finalmente ha un volto ed un nome, che non fa più tanta paura ma che dà, invece, benessere. Anche nel sogno del serpente di Sara compariva l’immagine ben definita del fidanzato, ma in esso c’era ancora un rifiuto da parte dell’io. Il sogno di Delia invece segna il passaggio dalla purezza, dalla verginità della bambina, simboleggiata dal muro dal colore bianco, ad una nuova condizione di donna e di madre. Delia infatti qualche mese più tardi sognerà di essere incinta. Nel dramma delle immagini viene raggiunta la meta dell’opera alchemica, la congiunzione delle immagini maschile-femminile, di Re e Regina, di Sol e Luna.

Delia non ha paura dell’immagine del sogno. Non è casuale che si tratti di un professore, una figura con la quale si ha una certa distanza, che la rende una presenza quasi numinosa. Si fa sedurre da questa presenza come Olimpia fece con il serpente dal quale … si sentiva sempre più attratta e quasi affascinata da quelle movenze sinuose, da quella potenza aggraziata e silente. Il serpe s’insinuò sotto le coperte, le scivolò fra le gambe e fra i seni e lei sentì che l’aveva presa, leggero, e freddo, senza farle alcun male, senza violenzaManfredi, Alexandros.

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