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IL TALENTO A SCUOLA Bisogni speciali degli alunni plusdotati e ad alto potenziale cognitivo

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Per dare una cornice simbolica e suggestiva alla tematica del talento volevo portarvi nell’Antica Grecia, in un periodo storico in cui l’espressione creativa veniva attribuita all’influenza delle Muse, venerate come le protettrici della cultura e ispiratrici delle arti. Erano nove ed ognuna era associata ad un particolare aspetto dell’arte e del sapere.

Gli antichi Greci ritenevano che ispirassero pochi individui eletti nelrealizzare qualcosa di grande nelle varie arti. Ancora oggi nel linguaggio comune si usa definire “musa” una figura capace di “donare” l’ispirazione all’artista.

Gifted è il termine con il quale vengono chiamati i soggetti plusdotati o ad alto potenziale, da “gift” che vuol dire “dono”, che ci riporta all’immagine delle Muse.

Un “dono” che tuttavia è un  potenziale, è come un seme che ha bisogno di una molteplicità di fattori per attecchire (la buona terra, l’acqua, adeguate condizioni atmosferiche…), per permettere alla piantina di nascere e crescere.

Il dono “si apre” dunque, e diventa talento, se si verificano condizioni legate sia alle caratteristiche individuali (il seme) sia ad un ambiente familiare, scolastico e sociale ricco di occasioni di crescita per l’intera personalità.

Il bambino di talento, infatti, non “va da solo”, come si potrebbe credere. È un bambino che pensa e sente in modo particolare e quindi manifesta bisogni speciali dal punto di vista cognitivo ma soprattutto dal punto di vista emotivo; è dotato di una particolare sensibilità che lo porta a vedere e sentire la realtà in modo differente, più profondo, ma è anche più fragile rispetto agli altri bambini. E quella che possiamo chiamare asincronia con il mondo esterno è lo specchio di un’asincronia interna oltre che tra le proprie potenzialità cognitive (un bambino che raggiunge dei livelli altissimi in una materia piuttosto che in un’altra), ma soprattutto tra gli aspetti cognitivi e quelli emotivi della personalità. Cosa che risulta spesso evidente nella discrepanza tra osservazioni acute e comportamenti infantili dei bambini gifted.

Jung, già negli anni quaranta del Novecento, scriveva che i bambini dotati si contraddistinguono per la loro creatività “che agisce come un demone divino, cui non si ha nulla da insegnare, ma da cui piuttosto il bambino va protetto. I grandi talenti sono certo i frutti più belli dell’albero dell’umanità, ma sono spesso i più pericolosi. Crescono sui rami più sottili, che facilmente si spezzano. …in genere lo sviluppo del talento è sproporzionato rispetto al grado di maturità del resto della personalità, e spesso si ha l’impressione che la personalità creativa cresca a spese di quella umana.

Anzi, a volte tra il genio e le sue qualità umane esiste una discrepanza tale, da chiedersi se non sarebbe stato meglio avere un po’ meno talento”.

E su queste ultime parole di Jung mi volevo soffermare e volevo raccontare il casoun uomo che non ce l’ha fatta a realizzarsi, pur avendo una intelligenza e delle capacità superiori rispetto alla media. Dopo le scuole, per due volte, ha provato a portare a termine un corso universitario interrompendolo in entrambi i casi in prossimità della laurea. Raccontava di aver avuto sempre interessi diversi rispetto ai suoi compagni di classe, sin dalla scuola primaria. I suoi coetanei si scambiavano le figurine dei calciatori (come ancora oggi al bar parlano di calcio) mentre lui avrebbe voluto parlare di altro, ad esempio di un bel libro che aveva trovato in casa e aveva letto (oggi legge Shopenauer, Kierkegaard ed altri filosofi). Si è sempre sentito diverso, inadeguato rispetto ai coetanei, ma anche gli insegnanti lo facevano sentire tale. Soltanto una professoressa era riuscita a comprenderlo e a non giudicarlo. Ad esortarlo a far emergere le sue capacità (e lui la ricordava bene!). Una volta ha detto: “Se fossi stato un po’ meno intelligente sicuramente sarebbe andata meglio. Io ho sempre cercato di mantenermi a livelli bassi…”. Naturalmente per non rischiare di essere giudicato negativamente!

Un altro caso: una professionista affermata e di grande talento, che ce l’ha fatta a realizzarsi, anche se con grande sofferenza e forti sensi di inadeguatezza. Che ha deciso di venire in terapia poiché sentiva di non poter affrontare il mondo, le persone, la vita con la stessa rigidità con la quale aveva vissuto gli anni dell’Università e poi gli impegni lavorativi. In genere i momenti critici coincidono con una delusione che coinvolge la sfera emotiva, la parte più sensibile e vulnerabile della personalità che più va sostenuta nei bambini plusdotati. Questa donna, tra le altre cose, raccontava di non essere stata compresa da una professoressa di matematica. Risolveva i problemi in poco tempo, ottenendo i risultati esatti ma con procedimenti che la professoressa non riusciva a capire ed immancabilmente prendeva voti bassi. Il fatto che il mondo esterno non fosse in grado di accogliere il suo modo di pensare e di essere così particolare generava forti sensi di inadeguatezza nella donna.

Il talento, infatti, ha bisogno di rispecchiarsi in una figura di riferimento esterna per potersi “incarnare”: un genitore, un insegnante che sia in grado di non lasciare il bambino solo nella sua diversità. L’insegnante quindi ha grandi responsabilità. E le materie di insegnamento possono essere un veicolo indispensabile nella relazione con l’alunno, “ma – dice Jung – è il calore l’elemento vitale sia per la pianta che cresce, sia per l’anima del bambino.

Tra un po’ le colleghe parleranno approfonditamente di bambini e ragazzi gifted a scuola. Io invece ho pensato di raccontarvi questi due casi per proporre una prospettiva diversa. Quando parliamo di bambini infatti possiamo riferirci alla loro breve vita vissuta, ma non possiamo prescindere dall’avere un punto di vista prospettico, con lo sguardo rivolto verso il futuro. Penso che sia fondamentale chiedersi: che uomo o che donna sarà il bambino o la bambina che ho di fronte?

Giustamente ci soffermiamo, da psicoterapeuti ed insegnanti, sul lavoro in famiglia o a scuola, ma non va sottovalutato che questi bambini e ragazzi sono portatori di potenzialità, di talenti che non possono essere sprecati. Guardare in prospettiva, immaginare che persona sarà il bambino che abbiamo di fronte può aiutarci a porci delle domande innanzitutto, e magari anche a modificare le strategie messe in atto in funzione delle nostre riflessioni.

Non a caso oggi si parla del processo del talento che non è un dato immutabile ma rientra nel percorso di realizzazione dell’intera personalità nell’ambito del quale è fondamentale l’interazione con l’ambiente. È intimamente legato al processo di individuazione, come lo ha chiamato Jung, che è quel movimento che tende alla realizzazione di ciò che l’individuo realmente è. Jung infatti affermava che il talento non è un valore se non viene utilizzato in sinergia con gli altri aspetti della personalità.

Non molti sanno che Jung si è occupato anche di educazione soffermandosi in particolare su tre modalità educative: l’educazione per imitazione, l’educazione cosciente collettiva e l’educazione individuale.

Per quanto riguarda la prima, l’educazione per imitazione, è la più semplice e sul fatto che l’esempio delle figure di riferimento sia fondamentale per il bambino, non abbiamo alcun dubbio.

Per quanto riguarda l’educazione cosciente collettiva, sappiamo che è fondamentale affinché si formino individui ben adattati alle regole della collettività, anche se nasconde il rischio di un eccessivo adattamento a discapito delle caratteristiche particolari, uniche dell’individuo, per usare le parole di Jung.

Fondamentale quindi è l’educazione individuale che invece si basa sul seguire le inclinazioni personali. Tuttavia c’è un rischio anche in questa: quello di educare dei “disadattati”, che non riescono a stare nel mondo.

Aiutare i soggetti plusdotati a realizzare il proprio talento imparando a tenere in equilibrio la richiesta collettiva e le caratteristiche individuali è un compito molto difficile poiché, come abbiamo visto, hanno un “funzionamento” (un modo di pensare, di sentire) differente rispetto ai loro coetanei (si percepiscono differenti dagli altri e hanno difficoltà nel trovare similitudini).

Tornando alle Muse, che ispiravano gli artisti, volevo concludere con la voce del Poeta, che potrebbe essere ognuno di noi se riesce ad accogliere il suo canto più profondo, il Dono (Gift) che gli è stato concesso. E se l’adulto riesce a farlo con se stesso, potrà sostenere gli alunni, in qualunque campo siano “ispirati”, ad avere il coraggio di portare il proprio Dono nel mondo reale:

LA VOCE DELLA POESIA
       Un canto improvviso
risuona incessante
chiama, impone
la presenza.
 
       È un Dio
che parla, la voce
è melodia,
immagine in cerca
d’amore.
 
       Melodia
in immagine, immagine
in parole
segna la mano
del poeta
quale ignaro
messaggero
del divino nell’estasi
senza tempo
luogo, dimensione.
 
       Non può sciogliere
l’artista
l’intimo patto
d’amore
col suo canto.
 
       È una musica
lontana, una danza
che anela vita;
sottile e paziente,
implora aiuto
al suo travaglio.
 
       Se una goccia
di quel nettare inebria
la mente, stravolge
il corpo, l’anima
al poeta…
in quell’istante
è poesia.

Per poter rivedere la Conferenza cliccare sul seguente Link: https://www.youtube.com/watch?v=vOgBj6QNtRo oppure https://www.youtube.com/channel/UCuhwMVlMnsmE-nzSR3oqpKw/videos

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